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Lecco: le badanti, le custodi degli affetti

Le badanti a Lecco sono state le invisibili tra gli invisibili. Di loro non abbiamo voluto sapere nulla: né chi fossero, né da dove venissero, né come facessero a fare il loro lavoro. Eppure non è per niente facile essere una badante.

Essere continuamente “l’estranea di casa”, e “una di casa”.

Essere colei che si occupa della casa, del corpo e dell’anima. Colei che nutre, cambia, lava e medica; e colei che coccola, consola, custodisce. Le braccia a volte non bastano. Serve il cuore.

Badare è un verbo particolare, che sta a metà tra lavorare e amare. Da una badante ci si aspetta non solo che vesta, cucini e cambi le medicazioni, ma anche che sia gentile, disponibile, amichevole, che dia affetto, calore, conforto alla persona che le viene affidata.

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Talvolta questo coinvolgimento affettivo è l’esito naturale di un rapporto intimo, di condivisione di tempo, di spazi, di frammenti di vita quotidiana. Viene facile: come quando l’estate segue la primavera.

«Dana non è per me solo la persona che mette in fila le pastiglie» racconta Sandra, di Lecco, una signora invalida. «Lei è soprattutto la testimone dei miei pensieri più profondi, colei che lenisce le mie paure, accarezza i miei sogni quando dormo, custodisce i pochi ricordi che sopravvivono alla mia malattia e li consegna ai miei figli».

E infatti, non di rado, tra chi offre le cure e chi le riceve nascono delle relazioni molto profonde, indissolubili.

Come quella che ha legato per quarant’anni Marisa, insegnante di Lecco 96enne di discendenze nobili, e la sua badante.

Nel testamento vergato a mano prima di morire, l’anziana aveva disposto che una parte importante della sua eredità fosse destinata, oltre che ai suoi alunni, alle sue amiche e ad alcune Ong, anche al personale di casa e in particolare ai figli della badante a cui lei, che non aveva avuto figli, aveva voluto bene come fossero suoi nipoti. «A loro – aveva scritto – l’affettuoso saluto di nonna Marisa».