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La badante straniera a Lecco ed il processo di integrazione

Secondo il noto studioso e sociologo Sombart l’individuo che decide di migrare appartiene, o meglio apparteneva agli inizi dei fenomeni migratori più consistenti ad una categoria di personalità molto attive, molto audaci, calcolatrici e razionali.

La teoria di Sombart riconosce nell’agire razionale, derivato dall’estraneità gli uni dagli altri, la fortuna del capitalismo moderno, e quindi dello sviluppo economico. Dunque l’estraneità, l’indifferenza e la marginalità proprie dello straniero sarebbero le condizioni favorevoli all’attività lavorativa e all’arricchimento non solo del singolo ma dell’intera società capitalista. Il lavoro, verso il quale l’immigrato indirizza tutte le sue energie, è l’unico elemento che lo lega al nuovo Paese, soprattutto se è partito da solo.

La peculiarità delle migrazioni moderne, nell’opinione di Park, è che l’individuo migrante è svincolato sia dalla comunità di partenza che dalla comunità di arrivo, perciò si ritrova isolato, con un “io diviso” tra il passato e il presente, tra il vecchio e il nuovo, che d’altra parte lo rende libero da vincoli e gli offre una visione disincantata del mondo. Questa interpretazione abbastanza distaccata della realtà e la considerazione del proprio lavoro come di un mezzo di risalita sociale, che possono dare l’impressione di una certa freddezza e di calcolo razionale, sono rintracciabili in più di una intervista.

Le signore intervistate non risparmiano lucide critiche alla società che le ospita per il tipo di rapporto, spesso impersonale, che viene instaurato con lo straniero e svelano problemi e conflitti anche interni alla nostra società, di cui un autoctono non si rende conto, o almeno non con una sufficiente razionalità. Lo studioso Merton considera debole la posizione dello straniero, in quanto la sua entrata nel nuovo gruppo dipende soprattutto dalla volontà del gruppo stesso. Il successo del processo di integrazione sembra dipendere dalla discrezionalità della comunità ospitante; non viene considerato il fatto che lo straniero possa decidere liberamente di non integrarsi, o di integrarsi in modo parziale nella nuova comunità perché ad esempio appartiene già a una comunità straniera forte presente sul territorio o perché il suo progetto migratorio è di breve periodo. Il nuovo arrivato è la figura debole di chi si trova dentro e fuori il gruppo, perché da un lato desidera diventarne membro ma dall’altra non ne conosce ancora i caratteri essenziali.

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L’immagine di un individuo incerto e un po’ titubante, sospeso tra vecchio e nuovo è un uomo che appartiene a molteplici “mondi”, almeno a due, quello d’origine e quello di arrivo. Nella condizione dello straniero esiste sempre una duplicità perché qualcosa viene perduto e qualcosa viene conquistato: nessuno infatti taglia completamente i legami con il passato e nessuno può rimanervi assolutamente legato nel momento in cui si trasferisce in un nuovo contesto. Questo è un elemento presente in tutte le interviste anche se in misure diverse a seconda delle storie personali e gli studiosi, soprattutto psicologi e psichiatri, lo ritrovano nelle personalità degli stranieri che giungono nel nostro Paese per lavoro (ma potremmo allargare le considerazioni alla dimensione universale del migrante). Chi parte per una nuova terra si costruisce nella propria mente un’idea del luogo che l’accoglierà, delle persone che troverà, della vita che lo attenderà in relazione alle esperienze fatte in precedenza. Quest’idea può essere confermata nel momento in cui la persona giunge nella nuova “patria” o purtroppo smentita, con la conseguenza di creare molti disagi, a livello mentale perché diventa necessario un riadattamento completo dei propri schemi conoscitivi alla luce delle nuove informazioni, e a livello pratico perché è indispensabile una riorganizzazione delle proprie competenze e abilità.

Quanto detto vale in modo particolare per la persona che emigra per motivi di lavoro, in quanto già il partire perché spinti dal bisogno rende il distacco più doloroso; poi, se la vita che il nuovo contesto riserva non corrisponde alle proprie aspettative, come accade in molti casi per coloro che in patria ricoprivano ruoli importanti sebbene pagati poco, e qui da noi svolgono lavori certo ben pagati secondo i loro termini di raffronto ma con un basso riconoscimento sociale, la frustrazione e il disagio aumentano. Il significato di “emigrare”, indipendentemente dai motivi o dal contesto in cui ciò avviene: “emigrare significa essenzialmente perdere luoghi, odori, suoni, contatti originari che costituiscono una sorta di involucro acquisito con la nascita” attraverso una continua interazione tra gli elementi sensoriali e l’ambiente che crea la struttura psichica e l’identità culturale dell’individuo.

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